Recensione: “ASPETTAMI AL CAFFÈ NAPOLI”
[CHIARA GILY]
Una tazza di the caldo, un libro dalla copertina blu scura e arancione che ricorda un po’ il calore di una stufa e momenti di lettura ritagliati la notte.
Se potessi descrivere cosa è stato per me “Aspettami al Caffè Napoli”, sarebbe proprio così.
Trama: Lidia ha lasciato Napoli per Trieste tempo addietro e da allora fa ritorno a casa raramente, senza mai riuscire a farsi accompagnare dall’eterno fidanzato Pietro. Solo l’invito al terzo matrimonio della cugina la costringe ad andare nuovamente, in quanto Alice l’ha scelta come damigella d’onore. Anche se lei e Alice negli anni si sono allontanate molto, complici i tanti chilometri che le separano, Lidia non può proprio rifiutare l’invito. Quindi, fa la valigia e torna per pochi giorni a Napoli. Eppure, il destino è beffardo. In pochissimo tempo la sua vita assume una piega del tutto inaspettata e Lidia si ritrova unica erede dell’attività di famiglia, l’amatissima bottega di rigattiere del padre Felice, che ne aveva fatto un luogo di incontro per gli abitanti del rione anche grazie al suo eccezionale caffè. Insieme a lei per questa nuova contemporaneità, Alice non smette ma di farle da spalla, così come Mila, un’appassionata fotografa. La bottega che tutti davano ormai per persa si trasforma così nel sogno di tre giovani donne, determinate a farla rinascere dalle macerie. |
Si può riuscire a donare, in sole 241 pagine, uno spaccato realistico di Napoli e a descrivere in modo così veritiero vicende quotidiane tanto complesse?
Inizialmente pensavo di no, perché volenti o nolenti, di questioni famigliari difficili ne siamo pieni tutti, così come delle difficoltà del vivere una quotidianità che a volte ci sembra stare proprio stretta, prigioniera di rapporti interpersonali e aspettative verso sé stessi che sembrano quasi schiacciarci.
« La distanza ovatta I sentimenti, I chilometri anestetizzano tutto. Sarà per quest oche qui ci torno mal volentieri, perché questa città va a sfregare sulle ferrite, ti tortura. Ti fa fare i conti con quell oche tu non vuoi vedere.»
Lidia è una fuorisede, una donna che ha deciso di lasciare Napoli perché troppe cose non andavano. Triste le è parsa la scelta migliore, eppure la città natale continua a richiamarla a sé, anno dopo anno, in una stretta che a volte sembra che faccia mancare il fiato, altre che ti culla saggiamente in momenti di disperazione.
È un po’ la situazione che tutti i fuorisede si ritrovano a vivere prima o poi nella vita, me in primis: quando si è lontani da casa per molto, tutto appare gestibile, compresi i sentimenti che ci ancorano alla nostra città. Eppure, quando si ritorna lì per un breve periodo, l’andare via di nuovo appare difficile, come se una parte di sé non volesse staccarsi.
Lo stile di scrittura dell’autrice è tanto scorrevole ed evocativo che risulta impossibile non sentirsi parte della storia. Pur non conoscendo Lidia, fin dalla prima pagina mi è apparsa famigliare, come una vecchia amica con cui si erano persi i legami. Allo stesso modo Alice e Francesco, sembrano echi di un passato già vissuto ma non ancora toccato con mano.
Ed è proprio il passato che la protagonista affronta, seppur con difficoltà e malinconia, nello scorrere di queste pagine. Gli affetti, i luoghi e i momenti cari intessono in lei una rete da cui potrebbe (e vorrebbe) cercare di fuggire, ma che in realtà la compongono sin dai meandri della sua anima.
Ritornare alla bottega del papà (e non padre, perché Felice si può solo descrivere così: come un uomo così dolce che la parola “padre” sembra quasi essere dura contro il suo carattere delicato) fa male, soprattutto dopo gli avvenimenti che Lidia si ritrova a vivere, eppure il coraggio non manca e giorno dopo giorno le “seconde possibilità” che spesso si sottovalutano in realtà tornano per costringerla a non arrendersi mai, nonostante le lacrime non smettano di sgorgare e la tristezza sembra non abbandonarla.
« Era fatto così. Non lo faceva apposta. La bellezza che decantava ce l'aveva incastonata negli occhi, ma soprattutto nei sentimenti.»
Di questo libro mi spiace solo che non si sia dato più spazio a tutti i personaggi, tra cui Mila. Questo però mi spinge a perdermi in tanti di quei “e se…” che potrei non uscirne più. E se ci fosse una storia dedicata solo a Mila? E se in questo capitolo avesse avuto più pagine dedicate? Insomma, nella mia testa frulla un turbine così ricco di domande in grado di stendere chiunque, un po’ come quando si beve in fretta e furia un caffè bollente e poi ci si sente storditi per un po’.
Eppure, nonostante a volte i personaggi appaiono tratteggiati, c’è una presenza fissa che non ci abbandona mai durante la lettura. E quale, se non quella di Napoli, che se per Lidia – come scritto sopra – sembra essere un po’ casa e un po’ una maledizione che non vuole lasciarla andare, a noi da una sensazione di luogo luminoso che incuriosisce terribilmente.
Quanta voglia di ritornare lì dopo questa lettura!
Consiglierei questo libro? Sì. Chiara Gily è riuscita a creare una storia fresca, immersiva, ma allo stesso tempo – ove necessario – malinconica e profonda. È una storia di vita, vita vera che potremmo sperimentare noi stessi o persone a noi care. È storia di una città che riesce a smettere di essere “città” per diventare “casa”.
…E mentre aspetto i vostri pareri, mi metto comoda a sorseggiare qualcosa nel nostro amato Caffè Napoli.
Un abbraccio e alla prossima,
→Federica.
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